Vite di coppie non illustri quasi esistite, per quanto/ Priscilla e Tancredi detto “Thor”

Priscilla Carozzi aveva una famiglia orribile.
Suo papà aveva testa e cuore solo per i propri affari strampalati e mostrava sincero affetto soltanto verso l’unica persona che amava davvero: se stesso. Sua mamma non era poi così male, se non fosse che aveva completamente disimparato a pensare con la sua testa, dopo il trattamento ricevuto dal marito nonchè padre di Priscilla: semplicemente non sapeva come si faceva, a dimostrare l’amore. Suo fratello era l’epitome dell’egoismo umano: non era cattivo, piuttosto il suo mondo iniziava e finiva con il benessere della sua propria persona.
Priscilla quindi era cresciuta da sola, come un albero nato in un bosco. Non che le fossero mancati il cibo nel piatto o i vestiti per coprirsi o un tetto sopra la testa, questo no: era la considerazione, quella che non aveva avuto. Ti piace questo vestito, lo vorresti indossare? Ecco una domanda che avrebbe dimostrato considerazione. Sei proprio brava a scrivere, non vorresti farne una professione? Ecco un’altra domanda notevole che Priscilla avrebbe tanto voluto che le fosse stata rivolta, a posteriori. Il guaio, pensava Priscilla, era dover imparare così tanto da sè stessi e sulla propria pelle, oppure dai libri: a volte l’esperienza si rivelava scoraggiante. Perchè una volta scoperta una verità emozionante, era troppo tardi per riviverla: il momento era passato e lei non aveva saputo reagire appropriatamente per mancanza di informazioni.
Qualcuno al quale poter parlare senza essere giudicata. Qualcuno che la ascoltasse senza lo sguardo calcolatore di chi sta già assaporando quale pezzetto di lei pretendere in cambio di una parola distratta, un sorriso anche falso, un abbraccio insincero.
Ecco, l’ascolto: un’altra mancanza fondamentale.

“C’è un errore a pagina quarantatre, quarta riga partendo dal margine inferiore, una A anzichè una O, la parola corretta è cappello” Una cappella al posto di un cappello, i poveri bambini non ne avrebbero mai colto l’ironia. Continua a leggere

Vite di coppie non illustri e neppure esistite, per quanto/1

L’erede Ponchielli, battezzato Odoacre in onore del nonno materno, si vide appioppare – al capezzale di quest’ultimo – tutta la responsabilità della conduzione della fabbrichetta di famiglia. Il Premiato Pastificio Ponchielli, fondato da Odoacre senior nella cucina della propria madre non appena tornato dalla guerra (ignoriamo, per esserci colpevolmente distratti, di quale conflitto si trattasse) era cresciuto negli anni fino ad occupare un intero palazzotto di due piani: a quello terreno impastatrici ed essiccatoi, al piano superiore uffici…e abitazione di Odoacre junior. Perchè Odoacre junior aveva infine promesso al nonno morente che mai avrebbe trascurato il PPP: ci si sarebbe anzi dedicato anima e corpo. Amen. Arrivato a quarant’anni, Odoacre junior non si era mai, mai innamorato. Certo, aveva avuto le sue cotte, sulle quali con discrezione sorvoleremo: ma non aveva mai affidato il proprio cuore e il proprio futuro ad un’altra persona. Nei suoi pensieri c’era solo il PPP. L’essiccazione dei tortiglioni. Lo spessore degli spaghettini. La ruvidezza delle tagliatelle all’uovo. Il nome giusto per il nuovo formato di pastina all’uovo, così quadrato eppure tanto irregolare.

Ortensia Benassi era diventata adulta lavorando al Premiato Pastificio. Ci era entrata come semplice segretaria all’età di 22 anni e in dodici anni di onorato servizio era diventata l’assistente personale di Odoacre. Precisa e puntuale, si occupava dell’agenda di lui con dedizione assoluta. E non solo. Gli gestiva gli appuntamenti di lavoro e gli fissava quelli dal dentista. Gli ordinava i panini per lo spuntino di mezzogiorno, attenta a che fossero gustosi ma sani. Gli rinnovava il guardaroba ad ogni cambio di stagione. Lo aspettava quando faceva molto tardi in azienda. Lo raggiungeva quando decideva di lavorare anche il sabato.
Una domenica mattina, Ortensia beveva il primo caffè della giornata nella enorme cucina della casa ereditata dalla nonna. La finestra che dava sul giardino era aperta e l’aria dell’inverno in arrivo entrava, benvenuta, dal varco tra i vetri. La mia vita è perfetta, pensò Ortensia. Possiedo una bellissima casa. Vivo da sola e faccio quello che mi pare. Decido io per me. Ho un lavoro che amo. Non mi manca proprio niente.
Tranne quello che desideri, disse una voce dentro la sua testa. Ma io non desidero altro che quello che già ho, rispose Ortensia alla nonna. Perchè la voce le era sembrata proprio la sua. Questo non è del tutto vero, continuò la nonna. Io lo so e tu lo sai. E sparì.
In effetti, c’era qualcosa che Ortensia voleva intensamente. Meglio: qualcuno.
Le braccia muscolose di Odoacre che la stringessero forte. La bocca di Odoacre sulla propria. Il cuore di Odoacre, in senso figurato, e il corpo di Odoacre in tutti i sensi.
Il suono del cellulare interruppe i pensieri improvvisamente consapevoli di Ortensia. “Potresti raggiungermi in azienda?” disse, appunto, Odoacre. “Per favore, ti prego.” E riagganciò.
Ortensia combattè brevemente una battaglia persa in partenza contro la propria stessa indignazione: la curiosità aveva già vinto.
Scovò subito Odoacre nel loro ufficio condiviso. Affacciato alla finestra spalancata, la sentì entrare e la salutò senza voltarsi. “Grazie di essere qui. Ieri sera ero a una cena di famiglia, sai? Mio fratello e sua moglie volevano annunciare a tutti noi riuniti che lei è incinta. Al dolce, mio fratello si è alzato, ha preso per mano la sua mogliettina e ha proclamato tutto fiero che tra qualche mese mamma e papà sarebbero diventati nonni e io, zio. E io mi sono subito girato verso di te per…naturalmente tu non eri là con me” disse Odoacre voltandosi verso di lei. “Se tu ci fossi stata, ti avrei abbracciata” disse lui, facendolo. “Ti avrei chiesto quando sarebbe toccato a noi l’annuncio” le mormorò all’orecchio. “Ma se non siamo neanche fidanzati!” esclamò Ortensia indietreggiando. Lo spazio improvviso tra di loro vide Odoacre piegato su un ginocchio tirar fuori di tasca una scatolina blu, aprirla e chiederle, offrendole l’anello: “Sposami.” Tipico di Odoacre.
Mentre esclamava “Sì!” Ortensia sentì la nonna ridere. E la propria voce aggiungere, fermissima: “A una condizione.” Odoacre la fissava, in attesa. “Tu ti trasferirai a casa mia e vivremo lì.”
“Ovvio” le rispose lui.
“Mica possiamo metter su famiglia sopra il PPP.”